Era una giornata molto calda. Eravamo seduti sulla scalinata come due turisti qualsiasi. Io con la bottiglia dell’acqua e tu con lo zaino accanto, color miliare. Il sole di agosto picchiava senza pietà sulle nostre teste scoperte. Ad onta del caldo io indossavo un paio di jeans troppo pesanti e delle ballerine rosse, dello stesso colore della t-shirt. Tu avevi un paio di pantaloni di tela di colore chiaro e una polo color cilestrino.
Siamo stati a lungo in silenzio, forse stremati dal caldo dopo la lunga camminata; forse nell’imbarazzo di proununciare parole che potevano essere definitive. Hai messo un braccio attorno alle mie spalle e hai avvicinato la guancia alla mia dandomi un veloce bacio cameratesco mentre pronunciavi parole scherzose per sdrammatizzare l’intimità del gesto. Ti ho guardato un attimo fissando i tuoi occhi azzurri e la tua fronte larga incorniciata da capelli biondi scompigliati. Poi ci siamo incamminati per raggiungere gli altri; alla stazione ci aspettava il treno per portarci in opposte direzioni.
Quando ci siamo incontrati di nuovo erano passati venti anni. Mi hai turbato rivelandomi quello che avevi provato per me e che allora non avevo intuito. Nonostante la distanza eri invisibilmente presente: mi mandavi gli auguri a Natale e per il compleanno; ci scambiavamo fugaci confidenze e riflessioni, con il tono leggero condito da quell’ironia che ci contraddistingueva entrambi, ma dalla sostanza profonda di chi sa che il tempo non ritorna ma si può recuperare quello che è rimasto.
Poi non ti ho più sentito e un giorno, solo per caso, ho scoperto che qualcosa era successo. Te ne sei andato senza dirmi nulla, era troppo tardi anche per salutarti. Lo faccio adesso: addio amico mio, ora so che mi manchi.