Cambiamenti

Mi capita di pensare che anni fa ero piuttosto insicura ma, nondimeno, piena di certezze. Con il passare del tempo ho acquistato sicurezza ma, al posto delle certezze, mi sono ritrovata con molti più dubbi.

Sarà che la giovinezza è una malattia che guarisce presto?

Storie di ordinaria realtà

Un uomo incontrato in rete, uno di cui non si sa nulla, uno uscito da una chat di incontri. Buon conversatore, educato, ben vestito, galante e, soprattutto, paga sempre lui: al ristorante, al cinema, a teatro e ovunque si vada. E la scelta dei locali è sempre di prim’ordine.

Una bella donna appena sopra i cinquanta, un matrimonio finito alle spalle, un figlio ormai grande, un lavoro sicuro con entrate  dignitose, anche se molto al di sotto di quelle che sarebbero le aspettative della signora.

Si incontrano ed è colpo di fulmine: dopo un paio di settimane fanno già coppia fissa, in men di due mesi hanno deciso di andare a convivere e, visto che ci sono, di fare il gran passo e convolare a nozze. Breve fidanzamento, giusto il tempo necessario a sistemare qualche faccenda e a organizzare l’evento. E poi via verso la nuova vita perfetta: sembra un sogno ma è tutto vero. E chi ha detto che il Principe Azzurro non esiste e che dopo una certa età bisogna rassegnarsi? E lui, poi, è anche più giovane di lei.

Lui fa l’imprenditore, ha un’azienda che commercializza gadget e parecchi altri oggetti non precisati; i suoi contatti sono tutti d’affari e li tiene fuori dalla sua famiglia, così come gli amici, vecchie frequentazioni non più attuali che risalgono ai tempi in cui lui era uno scapolo impenitente. I  genitori sono morti da anni, un unico fratello che vive all’estero ha mandato a malapena un messaggio di auguri per le nozze. Passa molto tempo al telefono e al portatile: mail, whatsapp, messaggi e impegni di lavoro, ed è logico: lui è un uomo d’affari. La vita familiare procede a meraviglia, mai uno screzio, tutto sembra filare liscio come l’olio; e poi il week end via, gli sposini corrono a godersi il mare o la montagna  Alla moglie non interessa entrare nel mondo del marito, in fondo ha chi si prende cura di lei e tanto basta. E poi non è forse compito di un bravo e premuroso maritino tenere la sua donna fuori dalle noiose beghe quotidiane e impegnarsi a realizzare ogni suo desiderio?

Ma i sogni, anche quelli più belli, ahimè, svaniscono all’alba. L’intimità condivisa di pochi mesi comincia a mostrare di tanto in tanto qualche ombra in questa vita apparentemente perfetta. Così un giorno, forse per caso, forse per destino, forse per intuito femminile, la signora si ritrova tra le mani una carta che le lascia qualche dubbio. E siccome dubbio chiama dubbio da quel giorno comincia ad osservare più attentamente la vita del marito e a porsi quelle domande che precedentemente non l’avevano mai minimamente sfiorata. Finchè decide di chiedere spiegazioni. Lui dice ti sbagli, non è come sembra, non capisco perchè improvvisamente hai smesso di darmi fiducia, è solo una situazione momentanea. Poi esce per andare in ufficio, ma quella sera non torna e non torna nemmeno le sere successive. La signora scopre che il conto in banca è più che sotto zero, che l’azienda di cui il marito era solo un fiduciario ha un buco contabile e, dulcis in fundo, che la sua casetta è ipotecata.

Ora la signora piange e si dispera e stramaledice il destino che ha messo il furfante sulla sua strada. Ma una domanda sorge spontanea: benedetta donna, prima di dare la colpa al fato non ti sei chiesta cosa ti ha spinto a sposare quell’uomo?

 

 

 

Ricordo

Salgo le scale di corsa, con il cuore in gola attraverso l’atrio semideserto a quest’ora, percorro il dedalo di corridoi che conosco a memoria  urtando, senza curarmene, qualche figura solitaria che staziona in attesa davanti a una porta; mi infilo nell’ascensore e premo il bottone.

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E mentre inizia lenta e interminabile la salita ai piani,  nella mia testa va in onda l’ennesima replica del film già proiettato mille e mille volte: ma questa è quella buona, quella che sapevi doveva arrivare ma non riuscivi ad immaginare veramente come sarebbe stato.

Un breve dling annuncia che la corsa è finita; nel lungo corridoio hanno abbassato le luci per la notte che arriva; le porte si aprono a destra e a sinistra in modo asimmetrico, qualcuno scambia parole a bassa voce, in un bisbiglio per non disturbare chi riposa. Giunge di tanto in tanto un clangore metallico come di ferri che sbattono per un attimo, o un suono soffocato di carrelli che scivolano silenziosamente nella semi oscurità a distribuire le ultime consegne. Ogni tanto qualcuno, evidentemente dalla divisa uno del personale, entra o esce frettolosamente da una stanza, il volto già stanco di chi deve affrontare un turno di veglia.

Quando finalmente, contando con lo sguardo i numeri ad uno ad uno, arrivo davanti alla porta un tuffo al cuore mi paralizza per una frazione di secondo prima che il battito riprenda follemente accelerato.–br–

Entro, alla fine, e la vedo distesa sul letto, un groviglio di tubi e di fili che corrono sopra e sotto le coperte. Dorme, apparentemente, gli occhi chiusi, due ombre scure nel viso di un pallore spettrale. Solo dopo molti sforzi, quando qualcuno la riscuote per dirle che sono arrivata, solleva fugacemente le palpebre e proprio allora, nel vedere le pupille ridotte ad una capocchia di spillo, capisco che davvero è finita. Fa cenno di si con la testa ma non credo  mi abbia riconosciuta e abbia compreso che sono venuta a salutarla per l’ultima volta.

Mi siedo a fianco del minuscolo fagotto di pelle e ossa: non posso che attendere, impotente, che tutto finisca e non so se è maggiore lo strazio dell’evento atteso o il desiderio che si compia alla svelta. Passano le ore silenziose e interminabili; ogni tanto un moto impercettibile o un lungo sospiro fanno immaginare che sia tutto rimandato, ma è solo l’illusione di  una manciata di attimi in cui la coscienza obnubilata si risveglia alla consapevolezza della fine che arriva.

Mi accollo il pietoso compito di riportare indietro le sue cose: nella stanza ormai vuota raduno nella borsa i pochi oggetti  messi insieme alla svelta per l’ultima corsa verso l’inutile speranza.

Varco la soglia di casa e mi dirigo verso la sua camera: perfettamente rifatto il letto, ma non riesco ancora a  credere alla realtà di quel vuoto, ormai definitivo, dalla sua parte. Alla vista delle pantofole ancora ordinatamente poste a fianco del letto, pronte ad accogliere i suoi piedi mi si stringe il cuore. Poi apro la borsa e,  lentamente, comincio a riporre le sue povere cose inutili: la tazza e il cucchiaio che non sono serviti a niente,  le calze e le maglie che non le serviranno più. Un nodo mi serra la gola fino a quando calde gocce cadono sulle mie mani e scorrono via portandosi dietro un dolore inconsolabile.

E’ lungo il viaggio, ma immersa nel limbo dei miei pensieri quasi non ci faccio caso. Triste tornare e ritrovare la consuetudine rassicurante delle proprie cose e del proprio mondo, ma con la consapevolezza che qualcuno che se ne è appena andato non vi farà più parte.

Non ricordo nulla, solo che il letto è freddo e umido perché, nel frattempo, è arrivato l’autunno. Anche nel mio cuore.

Vivere

L’indifferenza non mi appartiene. Posso provare gioia, entusiasmo, felicità, empatia, delusione, tristezza, rabbia, raramente odio, che poi altro non è che un grande dolore, ma mai indifferenza.

Quel virtuale punto zero dei sentimenti è l’anticamera della depressione o del cinismo. Per sopravvivere è sufficiente che il cuore continui a battere. Per vivere ci vuole altro.

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